giovedì 9 febbraio 2017

Intervista a Nathan Ballingrud




Il nuovo numero della collana Visioni, Edizioni Hypnos, è ormai in arrivo. Dopo Livia Llewellyn, Steve Rasnic Tem e Laird Barron è la volta di Nathan Ballingrud con Il nero visibile. Questo numero vede il mio contributo come traduttrice. Trovo sempre molto interessante approfondire la conoscenza dell’autore di cui mi occupo, e ringrazio Nathan Ballingrud per l’intervista che segue.







Nato in Massachusetts nel 1970, ha trascorso gran parte della sua vita nel sud degli Stati Uniti. Ha studiato Letteratura all’Università del North Carolina e di New Orleans. La sua prima raccolta di racconti – North American Lake Monsters: stories, edita dalla Small Beer Press – ha vinto lo Shirley Jackson Award ed è risultata finalista ai World Fantasy, British Fantasy, e  Bram Stoker Award. Tra le altre pubblicazioni, suoi racconti sono apparsi in Naked City: Tales of Urban Fantasy, Lovecraft Unbound, e Inferno: New Tales of Terror.



Idealmente, iniziamo dalla fine dell’articolo di presentazione di Nathan Ballingrud a cura di Andrea Bonazzi nel numero 5 di Hypnos. L’articolo introduce la traduzione, sempre di Bonazzi, di I mostri del cielo, racconto con il quale l’autore vince lo Shirley Jackson Award nel 2007 come miglior short-story, che verrà poi inserito nella raccolta North American Lake Monsters: stories, anch’essa insignita nel 2014 dello Shirley Jackson Award, nella categoria miglior antologia personale. 



I mostri del cielo è un racconto duro, che trasuda sofferenza, in modo più crudo di quanto non faccia Il nero visibile. Entrambi hanno al centro la complessità delle relazioni umane, presentano uomini e donne veri, reali, come del resto tipico di tutta la sua produzione. Se mettiamo a confronto in particolare i protagonisti maschili delle due storie, Brian di I mostri del cielo e Will di Il nero visibile, notiamo che ci troviamo di fronte a due uomini fragili, non pienamente in grado di prendere in mano la propria vita, uomini che hanno bisogno di rifugiarsi nell’alcool, finché l’evento soprannaturale non giunge a cambiare per sempre il resto della loro vita. Le figure femminili invece sono diverse: la moglie di Brian, Amy in I mostri del cielo è una donna indurita dalla vita, egoista, mentre le due figure femminili, entrambe protagoniste in Il nero visibile, Carrie e Alicia, si mostrano più assennate, “nel giusto” verrebbe da pensare, razionali e comunque capaci di dolcezza. Si tratta in entrambi i casi di letture che mettono a disagio, in cui la realtà è a tratti più sconvolgente di qualsiasi orrore sovrannaturale. E ben si adatta anche a Il nero visibile quanto osservato da Bonazzi per I mostri del cielo: “Il mostro è già sepolto dentro, e il perturbante giunto dall’esterno si limita a costringerci a un confronto infine ineludibile”.



Il nero visibile è una novella pubblicata da This is Horror a marzo 2015.

È la storia di un uomo chiamato Will e della sua discesa nell’incubo. Lavora in un bar di New Orleans. Dopo una violenta rissa nel suo bar, Will ritrova un cellulare che decide di tenere in attesa che il proprietario torni a riprenderlo. Ma tutto improvvisamente cambia, e hanno inizio i messaggi. Will ha scoperto qualcosa di indescrivibile, che si sta pian piano trascinando verso la luce.



Realtà e orrore: quando, nelle tue storie, l’una inizia a scivolare nell’altro?



N.B. Credo che siano intrecciati sin dall’inizio. Nella maggior parte delle mie storie, l’orrore proviene dalle persone; il soprannaturale serve a farlo spiccare, in modo che i protagonisti se ne rendano infine conto. In alcuni casi, il soprannaturale offre una via di fuga dall’orrore. Ne Il nero visibile, l’orrore soprannaturale è un’espressione esteriore del grottesco interiore.



Una delle cose che mi ha colpito di più è stata la presenza di un concetto base che permea Il nero visibile, racchiuso nel termine “vuoto”. Questa parola non solo ricorre molte volte, ma possiamo anche trovarla nel titolo di una poesia citata dalla ragazza del protagonista, Carrie: sta scrivendo un articolo su Gli uomini vuoti di T.S. Eliot. Si tratta in sostanza di una poesia sul senso di vacuità causato dalla condizione del mondo moderno, in cui si vive in modo egoistico senza essere in grado di distinguere tra il bene e il male. Ho pensato dunque che la citazione non fosse affatto casuale, ma che questo senso di vuoto, di vacuità, fossero aspetti e sentimenti che appartengono in particolare al protagonista, Will. Ho inoltre pensato che la poesia di Eliot fosse stata una sorta d’ispirazione per questo racconto, sbaglio?



N.B. Hai perfettamente ragione sui motivi della sua inclusione. Il tema della vacuità è qualcosa che volevo toccare in modi diversi, e ho ritenuto che la poesia di Eliot potesse esserne un utile indice, un chiaro segnale per il lettore. Ad ogni modo, non è stata l’ispirazione della storia. Quando pensavo a Carrie – a che tipo di persona potesse essere, a cosa volesse dalla sua vita, a come lei e Will affrontassero i loro scontri e le loro compatibilità – sapevo di volerla rendere una studentessa piuttosto seria. Così ho pensato di includere il riferimento a Gli uomini vuoti. Stavo quasi per levare il riferimento per paura che andasse un po’ troppo sul pesante.


Come è nata l’idea per questa storia? Qual è stata la scintilla che ha dato vita a Will, e quanto della tua precedente esperienza come barista a New Orleans possiamo ritrovarvi?



N.B. Will è la fusione di molta gente che conoscevo a New Orleans, e forse ha molto più di me di quanto voglia ammettere. Le persone egoiste non mancano mai, così come non manca mai chi prende la propria vita non seriamente. Ciascuno di noi ha delle caratteristiche negative, ma per lo più non riteniamo che siano queste caratteristiche a definirci, sempre se poi le consideriamo. Wil è così. È un ragazzo carino, e lascia che questo lo distragga dai suoi preoccupanti difetti, vale a dire, l’incapacità di immedesimarsi sinceramente in chi gli sta intorno.



Ho trovato molto interessante il contrasto che crei, da un lato, tra la repulsione naturalmente provocata – non solo nel protagonista – dalle blatte e la loro quasi innata dolcezza, delicatezza, e dall’altro, il contrasto tra l’apparente aspetto pulito e piacevole dei ragazzi del college e il loro nascondere in realtà un’abiezione interiore marcia e virale.



N.B. Le blatte sono la metafora del marcio dentro i personaggi. Quando vedi una blatta, sai che è soltanto il segno che molte altre si nascondono nei muri. È facile ignorarle però, se non devi guardarle costantemente. Volevo che l’idea degli scarafaggi servisse al lettore come “puntellatura” della storia. Quando vediamo i ragazzi del college così ammodo – e anche quando vediamo Will – vediamo in realtà gente indottrinata nella società, che ci passa accanto ogni giorno senza creare orrore o repulsione. L’abiezione è nascosta. Ma alla fine sciama tutto fuori, proprio come fanno le blatte. Penso questo valga sia per la società che per la gente, o per gli insetti.



Violenza e vergogna, e vacuità, come abbiamo detto, sembrano quasi tangibili, quasi altri personaggi della storia. Puoi dirci qualcosa a proposito del tuo modo di scrivere?



N.B. Sono contento di sentirtelo dire. L’atmosfera che quei sentimenti creano è proprio quello che speravo rendesse la storia interessante. È sempre una cosa positiva avere una grande metafora per l’idea che cerchi di trasmettere, ma se non alletta, non ha molto senso. Quando scrivo una storia come questa, cerco di decidere prima un paio di aspetti fondamentali: qual è il punto cruciale emotivo e qual è il tono della storia. Con Il nero visibile sapevo di volere un’atmosfera pesante e oscura. Doveva esserci un senso di minaccia indefinibile, una paura di qualcosa di indistinto e difficile da capire.



Un espediente narrativo che trovo molto interessante è quello del libro dentro un altro libro. In questo caso, fa la sua comparsa un libro misterioso, La Seconda Traduzione di Ferite,  che porta quasi alla pazzia Carrie. Sembra vi sia intorno una sorta di mitologia o di strano culto… pensi possa essere magari uno spunto per un’altra storia?



N.B. Potrebbe! L’ho inserito perché piace anche a me come espediente, mi piace le possibilità che suggerisce. Salterà sicuramente fuori ancora, anche se per il momento non so come o quando.



Cos’è il Weird per Nathan Ballingrud? E come descriveresti quello che scrivi?



Faccio sempre fatica in questi casi perché tendo a rifuggire da domande su tassonomie narrative, o dalle definizioni. Quando penso a cosa sia il weird o cosa sia l’horror concentro l’attenzione sulle linee di confine che queste parole implicano, e questo interrompe il mio procedimento quando lavoro a qualcosa. Sono stato definito scrittore horror, dark fantasy, weird, e va bene. Alcuni scrittori sguazzano in questo tipo di discussioni, dà loro energia per le loro opere. Non vale per me però. Penso sia meglio lasciare che altri decidano cosa sono. Io voglio soltanto concentrarmi per scrivere le storie.



Che cosa pensi della situazione attuale della narrativa weird e horror nel tuo paese? Ci sono altri scrittori in particolare, sia nell’editoria mainstream che in quella delle piccole realtà, che apprezzi in modo particolare e ti piacerebbe consigliarci?



N.B. Credo che sia il weird che l’horror stiano attraversando un periodo molto florido al momento. Le piccole case editrici meritano un enorme rispetto per le condizioni ottimali che stanno assicurando a questi generi. Le community che si stanno raccogliendo loro intorno, per la maggior parte, danno un grande supporto ad entrambi. Ciò ha consentito espressioni più esoteriche e avventurose nell’horror e nel weird, cosa che a sua volta rinforza la salute del settore.



Sono così tanti gli scrittori da consigliare! Farò in modo che la lista sia gestibile ad ogni modo. Parto da Leni Zumas. Ha scritto il romanzo The Listeners e una raccolta di racconti intitolata Farewell, Navigator. Un nuovo romanzo – Red Clocks – è in pubblicazione. Le sue storie sono strane, divertenti e tristi, e spero che abbia l’enorme numero di lettori che merita. Un’altra scrittrice che non posso non raccomandare è Julia Elliot, autrice di un romanzo e di una raccolta di racconti, rispettivamente The New and Improved Romie Futch e The Wilds. Ha una tra le prose più belle della letteratura americana, e le sue storie sono nello stesso tempo bizzarre, divertenti e orripilanti. Sono molto geloso di lei. Per chi è in cerca di qualcosa di davvero oscuro ho due nomi: Livia Llewellyn, che ha all’attivo due raccolte di racconti – The Engines of Desire e Furnace e Matthew M. Bartlett, autore di due strane raccolte di racconti su una stazione radio che trasmette da una città del New England infestata da streghe, intitolate Gateways to Abomination e Creeping Waves. Si tratta di due dei migliori e più originali scrittori di narrativa horror attuale.



Puoi raccontarci qualcosa sui tuoi progetti futuri?

N.B. Sto ultimano una novella per la mia ultima raccolta di storie che s'intitolerà The Atlas of Hell e che sarà pubblicata all’inizio del 2018. Lavoro anche a un romanzo su una colonia su Marte negli anni Trenta, e a un libro, per il quale sto espandendo l’ambientazione del mio racconto breve Skullpocket, dove un ghoul diviene il patriarca di una piccola città del Sud. Ho altri scritti per il momento in sospeso. Diciamo che ho abbastanza lavoro da tenermi impegnato per anni.
 

Grazie, Nathan Ballingrud!




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